Partendo da questo semplice dato possiamo prendere coscienza della vitale importanza che la gestione dei trasporti ha sull'esistenza di ognuno di noi.
La gestione dei trasporti non ha a che fare solo col diritto a muoversi e spostarsi, ma col diritto alla salute, all'aria, alla vita.
Lotta all'inquinamento e trasporti pubblici vanno di pari passo, non sono cose che possiamo lasciare in mano a chi ne trae interesse e profitto, i trasporti vanno gestiti come bene comune di tutti noi.
(Articolo di Vasco Avramo)
(immagine tratta da Urbanews) |
Così esordisce il report di Lancet Commision of Pollution and Health, firmato da Global Alliance on Health and Pollution e dall'Icahn School of Medicine del Monte Sinai (New York), sullo stato attuale dell’inquinamento e i relativi effetti sulla salute umana. Se non fosse per l’estrema autorevolezza e caratura scientifica degli autori, un incipit del genere potrebbe far sorgere nella mente di qualcuno il sospetto di intenti catastrofisti e apocalittici. Invece sono dati reali, dimostrabili, scientificamente accurati. E scorrendo le pagine del documento ci si accorge, purtroppo, che è solo l’inizio.
Oltre al dato delle morti assolute, impressionante è quello degli anni “persi” a causa dell’inquinamento, cioè la somma di anni di vita non vissuti a causa di una morte prematura e di quelli vissuti in malattia o disabilità, che ammontano a 268 milioni su scala globale. Per intenderci, nel 2015 l’umanità ha perso a causa dell’inquinamento una quantità di anni di vita che approssimativamente corrisponde alla comparsa dei dinosauri sulla terra.
Ad aggravare il quadro già di per sé allarmante, è il fatto che, come sottolineato dagli autori a più riprese nel report, questi dati vanno considerati tutti sottostimati, in quanto non tengono conto di alcuni fattori. Ad esempio, le stime citate sopra vengono fatte solo ed esclusivamente sulla base di inquinanti dei quali è accertata oltre ogni ragionevole dubbio la relazione causa-effetto con una determinata malattia. Tanto per fare un esempio, l’inquinamento dell’aria (Materiale Particolato principalmente) è associato a molte patologie respiratorie, cardiovascolari, cancerogene e ischemiche. Da sola, questa fonte di inquinamento rappresenta la maggioranza dei 9 milioni di morti totali. A seguire le contaminazioni causate dall’inquinamento dell’acqua, quelle “occupazionali” sul luogo di lavoro e quelle da inquinamento di suoli e da agenti chimici conosciuti. Per quanto riguarda gli inquinanti non ancora studiati a sufficienza, cosiddetti “emergenti”, gli autori non si sbilanciano e affermano: il numero di morti associato è sconosciuto. Stiamo parlando ad esempio di molti prodotti chimici di recente sintesi, come i pesticidi neocotinoidi, rifiuti farmaceutici, distruttori endocrini in generale e il noto erbicida glifosato. A causa di molti di questi ultimi, lo studio ipotizza (una volta studiati approfonditamente) un probabile aumento della stima di morti e malati causati dall’inquinamento.
Una strage quindi, più silenziosa e meno mediatica di altre, ma pur sempre tale. Strage che però non colpisce uniformemente la popolazione, ma “in maniera sproporzionata i poveri e i più deboli (bambini e anziani)", dice il report. Il 92% di questi morti infatti si colloca nei Paesi a medio e basso livello di sviluppo e, in tutti i Paesi del mondo, le malattie collegate all’inquinamento colpiscono prevalentemente i settori più marginalizzati socialmente. I quali, molto spesso, non solo si trovano nelle zone più inquinate o più degradate ambientalmente della città, ma non hanno nemmeno gli strumenti economici e culturali per proteggersi e curarsi come altri gruppi sociali più benestanti e integrati.
Questo fenomeno, conosciuto universalmente come “ingiustizia ambientale”, è descritto nel report come un fattore che aggrava enormemente la condizione di povertà di interi pezzi di società, diminuendo sensibilmente la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita. Molto significativo da questo punto di vista che gli autori individuino una delle cause principali dell'ingiustizia ambientale “nella globalizzazione, che ha causato il movimento di industrie inquinanti dai paesi ricchi ai paesi poveri”. E la mente non può fare a meno di andare a ripescare nella memoria i roboanti slogan entusiastici dei campioni della globalizzazione economica forzata.
Già da soli, questi dati dovrebbero essere sufficienti a mobilitare una grande quantità di fondi e mezzi per affrontare il problema, visto che stiamo parlando della vita e della salute di milioni di persone in tutto il mondo. Ma il benessere degli individui non fa PIL, quindi non gode sempre dell’attenzione che meriterebbe. Viviamo ormai nella paradossale società dove preoccupa più la salute dei mercati che delle persone. Per questo motivo, è interessante analizzare alcuni passaggi, illuminanti per molti versi, del capitolo “Costi economici dell’inquinamento e delle malattie collegate” del report.
L’impatto dell’inquinamento sulla salute corrisponde circa al 6.5% del PIL mondiale nel 2015, cioè oltre 4.700 miliardi di dollari. Cifre mostruose. Da considerare anche in questo caso sottostimate, sottolineano gli autori, in quanto vengono calcolate sulla base solo dei costi a carico dei sistemi sanitari nazionali e della perdita netta di produttività dell’individuo malato o morto prematuramente, ma non tengono conto della spesso disastrosa condizione economica in cui cade una famiglia dopo la perdita (fisica o funzionale) di un elemento della stessa, soprattutto in alcune parti del mondo. Per non parlare, ovviamente, del dramma che colpisce l’intero nucleo familiare e delle conseguenti ricadute psicologiche e sociali.
Un altro fattore che farebbe lievitare enormemente queste cifre, è la stima dei danni ambientali provocati dall’inquinamento, cioè a carico degli ecosistemi, che forniscono gratuitamente servizi a noi essenziali (come il ciclo dei nutrienti o il sequestro di Carbonio dall’atmosfera). Gli inquinanti, intesi come qualsiasi sostanza non voluta e pericolosa introdotta sulla Terra da attività umane, agiscono infatti compromettendo le proprietà degli ecosistemi e quindi ne alterano il funzionamento. Gli autori non approfondiscono l’argomento in questo documento, che meriterebbe un report a parte, ma ne riconoscono la fondamentale importanza e, nonostante sia un aspetto largamente sottovalutato in ambito economico, fanno intuire la necessità di uno studio specifico e approfondito al riguardo. Ad ogni modo, solo considerando i danni dell’inquinamento alla salute delle persone (e non agli ecosistemi), gli autori stimano che ogni dollaro investito nel controllo dell’inquinamento corrisponda ad un beneficio economico pari a 30$.
Leggendo questi dati, la domanda sorge spontanea. Perché se è così conveniente contrastare l’inquinamento non è considerata una priorità assoluta di qualsiasi agenda politica? Gli autori del documento hanno le idee chiare al riguardo. I costi dell’inquinamento, principalmente quelli medici (che sono i più rilevanti), sono scaricati socialmente, “nascosti nelle voci si spesa sanitaria” recita il testo. Mentre l’interesse a continuare a inquinare è appannaggio di “gruppi di interesse” privati che esercitano una “sproporzionata influenza sulle politiche governative” e che per tutelare i propri profitti “impugnano i risultati scientifici che collegano l’inquinamento alle malattie, paralizzano l’azione dei governi nel mettere standard efficaci di sicurezza, tasse sull’inquinamento etc.” Tutti i virgolettati non sono i deliri di una setta complottista, ma valutazioni lucide della realtà oggettiva, fatte da scienziati, non da politici. Perché il fatto che un modello di sviluppo “lineare, basato su fonti fossili, che fonda sul principio prendi-usa-getta l’utilizzo di risorse naturali e di vite umane” non sia più sostenibile economicamente, ecologicamente e socialmente non è più una questione di opinioni o di posizionamento politico. E’ un dato di fatto, con il quale bisogna fare i conti tutti.
Per quanto riguarda le soluzioni da attuare invece, quelle sì di natura fortemente politica, le considerazione da fare sarebbero tante. Una cosa è certa, i dati sulle malattie causate dall’inquinamento, sui costi economici dell’inquinamento e dalla correlazione inquinamento-povertà, dimostrano sempre più prepotentemente che la questione ambientale è una questione anche sociale, economica e sanitaria. E che quindi non può e non deve essere trattata separatamente in termini di politiche pubbliche.
Da questo punto di vista il report conclude con una riflessione interessante, che costituisce il cuore del problema e quindi anche della soluzione. “L’inquinamento è intimamente legato al cambiamento climatico” dicono gli scienziati. E questo perché la maggior parte degli inquinanti (dell’aria soprattutto, ma non solo) sono il prodotto di un sistema energetico obsoleto basato sui combustibili fossili, che sono la principale causa del riscaldamento globale in atto.
Da questo punto di vista il report conclude con una riflessione interessante, che costituisce il cuore del problema e quindi anche della soluzione. “L’inquinamento è intimamente legato al cambiamento climatico” dicono gli scienziati. E questo perché la maggior parte degli inquinanti (dell’aria soprattutto, ma non solo) sono il prodotto di un sistema energetico obsoleto basato sui combustibili fossili, che sono la principale causa del riscaldamento globale in atto.
Tante sarebbero le riflessioni da fare e le cose da dire leggendo questo importante documento. La cosa che più colpisce, forse, è che i dati che gli autori snocciolano hanno tutta l’aria di un bollettino di guerra. Ma una guerra fra chi? La contrapposizione in questo caso, più che fra due fazioni avverse, sembra essere semplicemente fra il benessere delle persone e il profitto di pochi. Fra le comunità e gli interessi degli inquinatori, fra la convivenza dell’uomo con l’ambiente e l’avidità folle di un sistema economico-produttivo che distrugge le fondamenta della casa dove abitiamo tutti. In ultima istanza, fra l’umanità e la barbarie.
Non si ricorda nella storia una guerra dove è stato più semplice scegliere da che parte stare.
Link all'articolo originale
Milano, 18.11.17
Non si ricorda nella storia una guerra dove è stato più semplice scegliere da che parte stare.
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Milano, 18.11.17