Renato Mazzoncini, Ad di FS. Sara Minelli/ Imagoeconomica
Immaginate una grande partita di Risiko, dove al giocatore Renato Mazzoncini, ad del gruppo Ferrovie dello Stato, è toccata la carta-obiettivo “Prenditi tutto il trasporto pubblico locale d’Italia senza gara, incorpora la società Atm e, già che ci sei, prendi il controllo totale della società di trasporto ferroviario lombarda Trenord”. Missione ardua, che però l’impavido generale ha accettato di buon grado.

Graziano Delrio e Renato Mazzoncini. Sara Minelli/ Imagoeconomica
La partita va avanti da oltre un anno, durante il quale i carri armati del tenace Ad sono riusciti via via ad annettersi:
  • le Ferrovie “Ex concesse” di Roma (Roma-Lido, Roma-Viterbo e Roma-Giardinetti);
  • le Ferrovie del Sud Est pugliesi;
  • il contratto di servizio decennale per il Tpl in Sicilia.
Tutte battaglie vinte senza colpo ferire, nel senso che Fs ha sempre proceduto alle annessioni senza gara d’appalto, con affidamenti diretti da parte delle Regioni o dello Stato, promettendo in cambio treni nuovi.
Una campagna espansionistica “a credito” possibile solo grazie all’avallo del governo, in particolare del PD sponda Renzi-Delrio, evidentemente convinto che una Fs – società pubblica destinata a una futura quotazione in borsa – forte, rappresenti una risorsa per il sistema-Paese.
Convinzione più o meno condivisibile, ma sicuramente destinata alla lunga a destare ben più di qualche malumore in Europa, allergica sia ai grandi monopoli sia agli “aiutini” di Stato.
Fino a pochi mesi fa, la guerra di Mazzoncini è rimasta sotto traccia. L’unica voce dissonate è stata quella dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, che – cosa mai accaduta in precedenza – a ogni nuova conquista del Generale in Capo, ha risposto emanando un parere negativo.
Un botta e risposta partito con le critiche all’operazione romana (per inciso, il contratto di servizio da 85 milioni l’anno è stato riconfermato dal presidente Zingaretti a Fs in unione con la catastrofica Atac, nonostante le Ex Concesse già di Atac, vantassero il triste primato di peggiori linee ferroviarie d’Italia); passato per la ferocissima bocciatura alla norma voluta da Regione Lombardia che di fatto dà il via libera alla fusione Atm-Trenord, prolungando automaticamente i contratti di servizio di entrambe le società; e culminata con il brusco “neanche per sogno”  opposto il 14 febbraio scorso alla richiesta di Fs di prolungare di ulteriori cinque anni il contratto di servizio già siglato con la Regione Sicilia per i prossimi dieci anni.
Per l’Autorità guidata da Pitruzzella il tema è sempre stato il medesimo, in linea con le recenti pronunce della Corte Costituzionale in materia: si devono fare le gare competitive per ottenere i contratti di servizio; gli affidamenti diretti sono possibili, ma devono essere un’eccezione motivata. Fino a oggi, però, la voce dell’Agcm oltre che isolata è stata anche ignorata.
La campagna militare di Fs persegue un fine chiaro: la società intende quotare in borsa il segmento Alta Velocità,appetibile perché assicura ampi margini di guadagno. Ma, per poter piazzare le azioni, deve essere sicura che il servizio funzioni.
Ora, sulle congestionate linee ferroviarie italiane, devono convivere i treni Av e quelli pendolari. Se tu, Fs, controlli entrambi i servizi, decidi tu chi passa prima e viaggia in orario… Un esempio di ciò che aspetta la gran parte dei pendolari italiani, del resto, lo si è già avuto con l’apertura dell’alta velocità nel tratto bresciano, dove i convogli del Tpl hanno dovuto lasciare spazio negli slot ai treni Av, scatenando le ire degli utenti. Inoltre, il monopolio dei trasporti consente di sostituire su una tratta i convogli Freccia bianca con i Frecciarossa, ritoccando verso l’alto il costo degli abbonamenti, perché è tutta roba tua.

Renato Mazzoncini durante l’inaugurazione del tratto Treviglio-Brescia dell’Alta velocità.
Sergio Oliverio/ Imagoeconomica
Fino a febbraio scorso, Mazzoncini si era concentrato sul primo degli obiettivi ricevuti all’inizio della partita a Risiko.
Vincendo a mani basse.
Da febbraio invece la sua azione si è spostata sulla battaglia campale della sua guerra: papparsi l’Azienda dei Trasporti Milanese, partecipata totalmente dal Comune di Milano.
L’impresa è ardua: qui non si tratta più di annettere all’impero alcune “sfigatissime” linee ferroviarie sull’orlo del fallimento, ma di prendere il controllo del secondo player italiano in campo dei trasporti, l’unico in grado di tenere testa a Fs in Italia. Per di più, si tratta di una società in piena salute, che produce utili, investe soldi propri, compra treni ed è in grado di competere sui mercati esteri, vincendo gare in giro per l’Europa.
Per assicurarsi anche questa partita, Mazzoncini ha studiato il “nemico”, si è preparato il terreno, ha mosso le sue truppe in silenzio, e quindi è passato all’azione. Il target era riuscire a convincere il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che rinunciare al proprio gioiellino fosse una buona idea per Milano e i milanesi.
Fondamentale passo verso il successo era assicurare a Fs il controllo di una metropolitana, condizione necessaria per poter poi partecipare alla gara per il Contratto di servizio di Milano, Monza-Brianza, Lodi e Pavia, in scadenza ad aprile 2017. Un bocconcino da cinque miliardi di euro.
Così è nata l’“Operazione M5”, l’acquisizione cioè del 36,5% delle quote detenute da Astaldi della quinta linea del metrò di Milano, per 64,5 milioni di euro totali.
A prima vista un’operazione senza alcuna giustificazione industriale né speranza di riuscita: M5 è la società nata in project financing nel 2003 che ha progettato, costruito e dovrà gestire fino al 2040 un metrò gravato da un gigantesco errore progettuale da ascriversi proprio alla società Astaldi. Una pecca ingegneristica che prima o poi dovrà essere sanata, con costi altissimi.

Paolo Astaldi, presidente di Astaldi. Imagoeconomica
Inoltre, nel board è già presente un socio che gestisce la linea, ed è proprio Atm, cioè lo stesso Comune di Milano. Dulcis in fundo, i patti para-sociali prevedono che “la concessione di azioni della Società da parte di qualsiasi socio è subordinata al mancato esercizio del diritto di prelazione da parte dei soci”.
Insomma, a inizio anno Mazzoncini ha lanciato la scalata a una società di cui Atm (cioè palazzo Marino, cioè Sala) aveva in mano tutte le carte per tenerlo fuori dalla porta. Ma il Generale è duro, non si è affatto spaventato.
E, oggi, ha quasi chiuso la partita. Da vincitore.
Ecco come ha fatto
Il 12 dicembre 2016 Fs firma con Astaldi il preliminare di acquisto da 64,5 milioni di euro per 195.611 azioni, pari al 36,7% del capitale totale.
Appena saputa la notizia, un preoccupato presidente di Atm, Bruno Rota, prende carta e penna e il 6 febbraio scrive a Sala riferendo della vendita: “Si ritiene che l’ingresso di FSI, specie tramite società controllata quale ad esempio Bus Italia S.p.a., sia palesemente confliggente con l’interesse del socio Atm S.p.a. Ciò per un duplice ordine di motivi. Il primo motivo è diretto, perché FSI in persona del suo A.d., ha dichiarato pubblicamente finalità ostili agli interessi di Atm, più precisamente dichiarando di voler perseguire la gestione della Linea 5, cioè la funzione operativa svolta proprio da Atm. Il secondo motivo, indiretto, perché con l’entrata in Metro 5 di FSI, quest’ultima raggiungerebbe, per tale solo fatto, requisiti utili per la partecipazione alle gare sul Tpl”.

Bruno Rota, presidente di ATM. Stefano Scarpiello/ Imagoeconomica
Il quadro descritto da Rota è abbastanza chiaro. Quindi chiede al Sindaco di poter negare il gradimento.
Ma nella stessa missiva, si legge un altro passaggio fondamentale: “Sempre con riferimento alla vicenda indicata in oggetto, secondo le Sue indicazioni (cioè di Sala, ndrricevute per le brevi, ho incontrato, separatamente, i rappresentanti del gruppo Murabeni e di F2i Sgr”.
Si tratta di due gruppi interessati a rilevare le quote di Astaldi. Il progetto che Rota accenna a Sala – ma che Sala evidentemente conosceva già, avendolo suggerito lui – prevedeva l’ingresso di uno dei due soggetti in M5attraverso l’acquisto delle quote che Atm otterrebbe avuto esercitando la prelazione sulle azioni di Astaldi.
Con Murabeni le trattative si sono interrotte”, spiega Rota nella lettera, “con F2i al contrario gli incontri procedono celermente e le rispettive posizioni si sono ormai delineate. Si confida a brevissimo di poter condividere uno schema contrattuale di massima”.
Sala risponderà solo il 20 febbraio successivo, sottolineando che né Murabeni né F2i “hanno formalizzato alcun impegno irrevocabile con Atm”. Non decreta lo stop all’iniziativa, ma avverte: “non ritengo opportuno l’impiego di ulteriori risorse finanziarie” in M5.
Insomma, nicchia, ma non blocca. Pubblicamente, intanto, il Sindaco professa sicurezza sul fatto che Atm non si toccherà e che il trasporto pubblico lombardo deve rimanere sotto il controllo dei lombardi.
Il 22 febbraio l’intesa Atm-F2i è pronta: F2i si impegna a rilevare le quote Astaldi che Atm avrebbe ottenuto esercitando la prelazione, nonché a comprare anche il 20% delle azioni già in mano alla società di trasporto. Per Atm sembrerebbe un affare vincente sotto ogni punto di vista: non solo blocca il nemico Mazzoncini in M5 e nella gara per il Tpl lombardo; si toglie anche da una società che dovrà pagare un occhio della testa per “bonificare” gli errori del passato; rimarrà gestore del metrò; e, infine, guadagnerebbe anche un extra margine di 400 mila euro.
Tutto sembra filare liscio, fino a quando durante una commissione comunale sulle partecipate presieduta a sorpresa dall’assessore al Bilancio, Roberto Tasca – un fedelissimo di Sala che però non ha alcuna delega a decidere sulle società partecipate –, non iniziano gli attacchi a Rota e alla sua strategia.
Il lunedì successivo, il 6 marzo, il Sindaco, con una capriola degna di Tania Cagnotto, blocca definitivamente il progetto e liquida il presidente di Atm con un laconico: “Atm non deve fare finanza”.

27/02/20217 Milano, Consiglio Comunale, nella foto Roberto Tasca, a fianco dell sindaco di Milano Giuseppe Sala. Nicola Marfisi / AGF
Contemporaneamente, inizia a circolare un documento a firma del Direttore generale del Comune, Arabella Caporello, che rappresenta la vera pietra tombale sull’affare F2i (e sulla carriera di Rota in Atm).
Per Caporello, Rota avrebbe perseguito strategie non concordate con il socio; il valore dato alle azioni di Astaldi sarebbe sovrastimato; l’operazione di vendita richiederebbe una gara pubblica rischiosa; i timori di Rota sulla futura gara per il contratto di servizio “appaiono palesemente irricevibili”.
In pratica quella porta che si stava sbattendo in faccia al general Mazzoncini, si è trasformata nel giro di 48 ore in un’autostrada senza casello. La decisione viene infine ratificata durante un tesissimo Consiglio comunale, dove i consiglieri di maggioranza vicini all’ex sindaco Pisapia non votano, le opposizioni alla sinistra di Sala votano contro, insieme con la destra di Parisi, e anche alcuni consiglieri fedeli al Primo cittadino “non capiscono, ma si adeguano”.
Cosa abbia fatto cambiare l’orientamento di Sala resta un mistero. Fonti ben informate hanno raccontato che il demiurgo sia stato proprio il fedele Tasca, che nel weekend tra il 4 e 5 marzo, sarebbe arrivato a minacciare le proprie dimissioni, qualora il piano Rota fosse passato. Tasca non ha mai smentito la ricostruzione, né ha mai dato spiegazioni sulla sua posizione.
Nella decisione di Sala ha poi sicuramente pesato anche un’altra partita assai importante per Milano: quella sugli Scali ferroviari. Sette aree dismesse – oltre 1,2 milioni di metri quadrati destinati a mutare il volto della città – di proprietà di Fs, da anni oggetto di trattativa tra Comune e società. Appare abbastanza scontato che Mazzoncini abbia fatto pesare nella partita M5 il futuro ancora tutto da scrivere di quelle aree.
Il resto è storia di oggi: Rota di fatto fuori da Atm; l’euforico generale Mazzoncini che entra a Milano come Zukov a Berlino e conferma candidamente l’interesse di Fs al contratto di servizio milanese («Iniziamo a vedere come viene impostata la gara poi vedremo» e ancora «Atm è l’unica azienda veramente complementare in termini di know how, ragioniamo in termini di partnership e non di una gara contro»), con buona pace delle previsioni di Caporello; i sindacati dei lavoratori Atm che indicono uno sciopero generale unitario il 5 aprile prossimo per difendere i posti di lavoro. Una cosa che non si vedeva all’ombra del Duomo da almeno una decina di anni.
A preoccupare Filt Cgil, Fit Cisl, Uilt Uil, Ugl Tpl, Orsa, Faisa e Sama è proprio la possibile joint-venture tra Fs e Atm. Stando così le cose, per i sindacati, alla gara di Milano parteciperebbe Atm (che metterebbe però solo gli autisti di bus e metrò), in unione con Fs, la quale fornirebbe la manutenzione. E tutti i dipendenti di Atm rimasti senza nulla da fare? Quelli si ritroverebbero per strada, visto anche che non rientrano nella norma regionale che garantisce il riassorbimento del personale. A rischio, secondo i sindacati, ci sarebbero almeno 2.000 posti di lavoro. Tantissimi, ma, come il generale Mazzoncini sa bene, non puoi vincere una guerra – neanche a Risiko – senza far cadere qualche testa.