Petrolio e trasporto pubblico

Pubblichiamo integralmente un articolo del sito CityRailways che merita una lettura attenta:



PETROLIO AI MINIMI STORICI: È ORA DI PENSARE AL TRASPORTO PUBBLICO ELETTRICO

Petrolio sotto i 60$ al barile e prezzi dei carburanti destinati a scendere nonostante, in Europa, sia rilevante il peso della accise. Già perché invece in Nordamerica il prezzo alla pompa è sceso del 40% in 3 mesi. Ottima notizia, in tempi di crisi. Oppure no?
(grafici da oil-price.net)
In termini di mobilità, assodato che a livello nazionale la soglia “critica” del costo della benzina è di 1,870 € la mobilità privata è destinata a crescere. In 10 anni di rilevazioni, confortate anche da recenti analisi Istat, abbiamo riscontrato che al di sotto del costo di 1,870 €/l la mobilità mantiene la solita ripartizione modale. Appena al di sopra la quota modale di spostamenti con il mezzo privato inizia rapidamente a decrescere soprattutto negli spostamenti metropolitani.
Insomma con un petrolio così basso a farne le spese sembrerebbe proprio il trasporto pubblico. Con buona pace delle nostre previsioni ma anche delle indicazioni OMS e del Ministero della Salute sulla qualità dell’aria nonché delle politiche di presidio del Surriscaldamento Climatico.
Però, siccome il nostro obiettivo è quello di tenere alto il dibattito proprio a livello di pianificazione e scelte strategiche, proviamo a capire perché sia necessario andare in controtendenza cioè sostenere il trasporto pubblico. Perché il risveglio da questo sogno del petrolio a basso prezzo potrebbe essere molto, molto brusco e per niente indolore.
Dalla metà del 2013 molte fonti – prima fra tutte l’Agenzia Internazionale per l’Energia – ha sottolineato il boom statunitense della produzione di petrolio da fonti non convenzionali (tight oil). Una produzione in così forte crescita da riportare gli USA al primo posto per la produzione di petrolio. Pur non si commettendo l’errore, commesso da molti, di confondere il fatto di essere produttore con quello di essere esportatore (al netto della domanda interna, gli USA sono superati da diversi altri Paesi) questo rappresenta un ottimo traguardo per l’economia statunitense. Ma questo era con un prezzo del petrolio superiore ai 100$ al barile.
Poi venne il petrolio a 60$. Spiegare il perché di questo salto richiederebbe approfondite analisi geopolitiche: qui ci basta ricordare cosa è il breakeven price. È la soglia di vendita sul mercato internazionale oltre la quale il Paese produttore di petrolio non copre più la propria spesa pubblica ed inizia ad accumulare deficit di bilancio. Se l’obiettivo è quello di mettere in crisi un Paese la prima arma – per chi può permetterselo – è quella di creare delle condizioni di stress economico. Per la Russia il breakeven price è di 100$/barile per il brent: con un prezzo vicino ai 50$ è chiaro che l’obiettivo sembrerebbe raggiunto. Il condizionale è d’obbligo perché questa condizioni ha innumerevoli risvolti. Per tutti.
A meno che il prezzo non ricominci a salire, la produzione di petrolio degli Stati Uniti subirà un crollo a partire dalla fine del 2015. Questo non appena finiranno gli effetti delle nuove perforazioni massive avviate nel 2013 e nel 2014.
Le curve tipiche di produttività di un pozzo non convenzionale sono ben note: ma man che il prezzo si mantiene al di sotto della soglia dei 70$ non è finanziariamente sostenibile partire con nuove trivellazioni. Di questo passo le curve naturali di decadimento (-95%/3 anni) della produzione dei pozzi esistenti porteranno la produzione al collasso.
Non deve trarre in inganno il picco produttivo atteso per l’estate: nel North Dakota nell’autunno 2014 è stato completato l’attrezzaggio per ben 650 pozzi. Poiché un pozzo entra a regime dopo 3/4 mesi dall’apertura ci sarà un picco di produzione proprio per la prossima estate. È bene ricordare che questi pozzi sono stati finanziati 2 anni fa con prestiti bancari garantiti da previsioni di costo del prezzo a barile nel peggiore dei casi mai inferiori ai 90$.
Il Bakken è una formazione geologica estesa tra Montana, North Dakota , Saskatchewan e Manitoba dalla quale si estrae petrolio dal 1958. Esaurito il petrolio classico, oggi è il principale giacimento per combustibili non convenzionali. La produzione giornaliera di un tipico pozzo Bakken - fatto 100 il picco raggiunto dopo 90 giorni dall’apertura - si riduce a 35 per la fine del primo anno, 12 alla fine del secondo2 alla fine del terzo e circa 0.2 al quinto anno. Ci sono attualmente circa 8.600 pozzi produttivi dal scisto Bakkendi cui più di 2.000 sono stati perforati e completati nel 20141.700 nel 2013 e altri 1.700 nel 2012Quasi un quarto dei pozziBakken hanno meno di un anno di età e la loro produzione è destinata a diminuire di ben dueterzi nel prossimo anno.
In totalepiù della metà dei pozzi Bakken hanno meno di tre annie questi pozzi saranno caratterizzati da un rapido calo produttivo. È  per questo che la guerra dei prezzi si sta svolgendo ora: perché è questo il momento in cui i muscoli del tight oil sono più vistosi.

Ma per mantenere la produzione le società estrattive dovrebbero avviare l’attrezzaggio di almeno 2.000 nuovi pozzi entro il dicembre 2015.
 
Il valore del greggio “dolce” Bakken, al 6 gennaio, era 32$ al barile. Il cosiddetto Bakken “sporco” vale meno di 23$: a questi prezzi non ci sono parti del Bakken che sia conveniente perforare. Il Dipartimento delle Risorse Minerarie indicava 169 impianti aperti, quando erano 191 nel mese di ottobre.
La maggior parte delle aziende produttrici di petrolio che dominano il mercato delle estrazioni dalle formazioni di scisto sono di piccole e medie dimensioni e, a differenza dei rampanti petrolieri alla JR di Dallas si affidano esclusivamente a prestiti bancari per partire con nuove trivellazioni. A differenza della corsa al petrolio degli anni Cinquanta, il fracking avanza creando debito. Se l’avanzata ha carattere esponenziale quella che si prefigura ha tanto l’aspetto di una curva speculativa. A bassa voce si potrebbe dire bolla. Ricordate la bolla dei mutui e la crisi finanziaria del 2012?
La più grande banca d’investimento del mondo, la famigerata Goldman Sachs, ha calcolato che gli scoperti  che potrebbero essere causati dal crollo del prezzo del greggio sono arrivati a 1.000 miliardi di dollari. Questo perché della decisione – non casuale ma presa a tavolino - di portare il petrolio a 50 dollari al barile, sono stati lanciati migliaia di progetti esplorativi di petrolio in giro per il mondo, garantiti da investimenti presi in prestito dalle grandi banche. La clausola era quella di avere un ritorno minimo pari a 3 volte garantito da un prezzo al barile mai inferiore ai 70$. Gli analisti di Sanford C. Bernstein hanno calcolato che se il prezzo del greggio dovesse fermarsi a 65 dollari al barile per tutto il 2015 e vi sarà il più enorme collasso degli investimenti in progetti della storia moderna.
Il boom gas di scisto è stato sostenuto dalla spasmodica attività estrattiva del petrolio da fonti non convenzionali. Oggi il prezzo al mc negli USA è il più basso di sempre ed ha messo fuori gioco la sostenibilità finanziaria di tutte le rinnovabili. Ma il tight oil in questo momento non ha sostenibilità finanziaria e questo potrebbe scatenare un effetto domino dagli esiti difficilmente calcolabili.
In questo momento, se ci si toglie dagli occhi le fettine di prosciutto della stampa convenzionale, si vedrà un futuro in cui il petrolio a basso costo è tutt’altro che scontato. L’esplosione di una bolla speculativa in una congiuntura di stagnazione come quella europea attuale – e di crisi, come quella dell’Italia – ha effetti di gran lunga amplificati rispetto a quelli pure tragici del 2012.
È necessario creare degli ammortizzatori in grado di aumentare la resilienza dei territori ovvero delle strutture sociali. Non sarebbe male partire proprio dalla mobilità con scelte lungimiranti che guardino oltre l’ubriacatura – supposta – di un petrolio a prezzi bassissimi. Perché a guardare bene i conti italiani, dal petrolio così basso non ci si sta guadagnando granché: la produzione resta bloccata e sono i produttori a decidere quale sia la quantità da vendere. Questo accade quando il gioco è fatto da chi può permettersi posizioni monopolistiche come, ad esempio, l’Arabia Saudia.
È necessario procedere con l’aumento dell’efficienza di tutti i processi, da quello produttivo a quello residenziale. Ma è soprattutto necessario cominciare dai settori a maggiori inefficienza: il primo è la mobilità. Perché lasciare che le grandi centrali elettriche, ad esempio, continuino a languire vista la bassa domanda quando milioni di spostamenti si svolgono su altrettante micro centrali (il motore delle automobili) che ha un’efficienza nel migliore di casi inferiore del 90%?
aumentare l’efficienza energetica nei trasporti dal 19% al 38%, riducendo le importazione di petrolio del 24%;
ridurre la spesa mensile media di 149€ a famiglia (dato su famiglia tipo Istat);
ridurre la spesa sanitaria  di miliardo di € all’anno.
Una improvvisa impennata dei prezzi del petrolio rischierebbe di lasciare non solo la maggior parte dei cittadini a terra, come detto in questa analisi. A restare a terra, questa volta, sarebbe l’intero Paese.

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21.01.15