La cosa che a noi appare molto grave è che il signor Moretti, che guadagna quasi un (1) milione all'anno, evidentemente non ritiene di aver fatto una dichiarazione molto grave.
E la cultura che gli da giustificazione, e che prevede che possa esistere chi guadagna in un anno quello che molte persone guadagnano in una vita di lavoro fra sacrifici e rinunce, è la cultura che giustifica la miseria di molti per il privilegio di pochi.
Signor Moretti, a pensarci bene siamo d'accordo con lei, se il governo le riduce lo stipendio se ne vada.
Anzi, siamo talmente d'accordo con lei che le diciamo: se ne vada in tutti i casi, grazie.
Sulla vicenda riportiamo un intervento del comico Natalino Balasso tratto dalla sua pagina facebook (https://www.facebook.com/natalinobalasz):
Moretti, a.d. Delle Ferrovie dello stato, teme un taglio dello stipendio (850.000 euro l'anno secondo lui, 1.046.000 euro secondo la questura) e dice che in nessun paese degno di nota i manager prendono meno del Capo dello Stato.
Questo strano accostamento non si capisce ma prendiamolo per buono. È da notarsi la motivazione che Moretti adduce alle sue teorie secondo le quali in un paese in crisi è giusto che migliaia di persone perdano il lavoro ma non è giusto che un manager prenda un centesimo in meno delle ricche prebende di cui già gode. Egli afferma: "...siamo delle imprese che stanno sul mercato ed è evidente che sul mercato bisogna anche avere la possibilità di retribuire, non dico alla tedesca e nemmeno all’italiana, ma un minimo per poter fare sì che i manager bravi vengano dove ci sono imprese complicate e dove c’è del rischio ogni giorno da dover prendere”.
Ecco, vorrei capire qual'è il rischio ogni giorno da prendere, perché di incidenti ferroviari ne succedono ma non mi risulta che licenzino i manager per questo. Se poi l'azienda va male? Vediamo cos'è successo ai predecessori di Moretti, traggo il sunto dal Fatto Quotidiano:
"Alle Ferrovie, Giancarlo Cimoli, classe 1939, piazzato dal governo Prodi nel 1996 a risanare il gruppo dopo l’era di tangentopoli e di Lorenzo Necci, va via nel 2004 intascando un assegno di addio da 6,7 milioni di euro e lasciando i conti in rosso per 125 milioni. Un buco che per il governo Berlusconi vale la poltrona della claudicante Alitalia dove, pur arrivando decisamente lontano dagli obiettivi di risanamento, Cimoli incassa un’altra buonuscita. Da 3 milioni. Peggio di lui, in termini di risultato di gestione, fa il suo successore alle Ferrovie, il 66enne Elio Catania, che nel 2005 chiude il bilancio delle Fs in negativo per 465 milioni. Si dimette l’anno successivo quando il rosso ha ormai raggiunto e superato quota 2 miliardi su richiesta del Ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa. Ma anche lui, come Cimoli, intasca una buonuscita (7 milioni) inversamente proporzionale ai risultati ottenuti e pochi mesi dopo viene scelto da Letizia Moratti per la presidenza dell’azienda municipalizzata dei trasporti milanesi, Atm, incarico che è stato revocato l’estate scorsa dal sindaco Giuliano Pisapia".
Ora, andarsene dopo aver fallito, con buonuscite da 7 milioni, non mi sembra un rischio così grave. Qual'è dunque il terribile rischio per cui un manager di questo tipo dovrebbe prendere una sbancata di denari?
Ad esempio leggo che "A quattro anni dal disastro del 29 giugno del 2009 a Viareggio, gli indagati sono 37 e tra questi c’è l’amministratore delegato delle ferrovie, Mario Moretti; in occasione dell’audizione in Senato lo stesso Moretti ha definito la strage del 29 giugno niente più che una sciagura, uno spiacevole episodio, mentre in altre occasioni aveva parlato di 'rischio accettabile'". Intendiamoci, in caso di qualsiasi incidente provocato dall'uomo, a risponderne è il lavoratore che l'ha provocato in prima persona, poi, se ci sono corresponsabilità si indagano anche i suoi superiori, che in genere se la cavano; direi quindi che i rischi maggiori sono per chi sui treni ci sta dalla mattina alla sera, che, in caso di licenziamento, difficilmente intasca qualche milioncino di buonuscita.
Questo è il modello economico che abbiamo scelto, pare che a molti vada bene così. Beh, se è questo che vogliamo vuol dire che ce lo meritiamo, mettiamoci in coda e ammiriamo i potenti e i privilegiati.
21.03.14
E la cultura che gli da giustificazione, e che prevede che possa esistere chi guadagna in un anno quello che molte persone guadagnano in una vita di lavoro fra sacrifici e rinunce, è la cultura che giustifica la miseria di molti per il privilegio di pochi.
Signor Moretti, a pensarci bene siamo d'accordo con lei, se il governo le riduce lo stipendio se ne vada.
Anzi, siamo talmente d'accordo con lei che le diciamo: se ne vada in tutti i casi, grazie.
Sulla vicenda riportiamo un intervento del comico Natalino Balasso tratto dalla sua pagina facebook (https://www.facebook.com/natalinobalasz):
Moretti, a.d. Delle Ferrovie dello stato, teme un taglio dello stipendio (850.000 euro l'anno secondo lui, 1.046.000 euro secondo la questura) e dice che in nessun paese degno di nota i manager prendono meno del Capo dello Stato.
Questo strano accostamento non si capisce ma prendiamolo per buono. È da notarsi la motivazione che Moretti adduce alle sue teorie secondo le quali in un paese in crisi è giusto che migliaia di persone perdano il lavoro ma non è giusto che un manager prenda un centesimo in meno delle ricche prebende di cui già gode. Egli afferma: "...siamo delle imprese che stanno sul mercato ed è evidente che sul mercato bisogna anche avere la possibilità di retribuire, non dico alla tedesca e nemmeno all’italiana, ma un minimo per poter fare sì che i manager bravi vengano dove ci sono imprese complicate e dove c’è del rischio ogni giorno da dover prendere”.
Ecco, vorrei capire qual'è il rischio ogni giorno da prendere, perché di incidenti ferroviari ne succedono ma non mi risulta che licenzino i manager per questo. Se poi l'azienda va male? Vediamo cos'è successo ai predecessori di Moretti, traggo il sunto dal Fatto Quotidiano:
"Alle Ferrovie, Giancarlo Cimoli, classe 1939, piazzato dal governo Prodi nel 1996 a risanare il gruppo dopo l’era di tangentopoli e di Lorenzo Necci, va via nel 2004 intascando un assegno di addio da 6,7 milioni di euro e lasciando i conti in rosso per 125 milioni. Un buco che per il governo Berlusconi vale la poltrona della claudicante Alitalia dove, pur arrivando decisamente lontano dagli obiettivi di risanamento, Cimoli incassa un’altra buonuscita. Da 3 milioni. Peggio di lui, in termini di risultato di gestione, fa il suo successore alle Ferrovie, il 66enne Elio Catania, che nel 2005 chiude il bilancio delle Fs in negativo per 465 milioni. Si dimette l’anno successivo quando il rosso ha ormai raggiunto e superato quota 2 miliardi su richiesta del Ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa. Ma anche lui, come Cimoli, intasca una buonuscita (7 milioni) inversamente proporzionale ai risultati ottenuti e pochi mesi dopo viene scelto da Letizia Moratti per la presidenza dell’azienda municipalizzata dei trasporti milanesi, Atm, incarico che è stato revocato l’estate scorsa dal sindaco Giuliano Pisapia".
Ora, andarsene dopo aver fallito, con buonuscite da 7 milioni, non mi sembra un rischio così grave. Qual'è dunque il terribile rischio per cui un manager di questo tipo dovrebbe prendere una sbancata di denari?
Ad esempio leggo che "A quattro anni dal disastro del 29 giugno del 2009 a Viareggio, gli indagati sono 37 e tra questi c’è l’amministratore delegato delle ferrovie, Mario Moretti; in occasione dell’audizione in Senato lo stesso Moretti ha definito la strage del 29 giugno niente più che una sciagura, uno spiacevole episodio, mentre in altre occasioni aveva parlato di 'rischio accettabile'". Intendiamoci, in caso di qualsiasi incidente provocato dall'uomo, a risponderne è il lavoratore che l'ha provocato in prima persona, poi, se ci sono corresponsabilità si indagano anche i suoi superiori, che in genere se la cavano; direi quindi che i rischi maggiori sono per chi sui treni ci sta dalla mattina alla sera, che, in caso di licenziamento, difficilmente intasca qualche milioncino di buonuscita.
Questo è il modello economico che abbiamo scelto, pare che a molti vada bene così. Beh, se è questo che vogliamo vuol dire che ce lo meritiamo, mettiamoci in coda e ammiriamo i potenti e i privilegiati.
21.03.14